Il quinto evangelo di don Puglisi

1 Mag

Don-padre-Pino-Puglisi-1-300x219Esistono diverse tipologie di martirio. Con Puglisi se ne presenta una modalità caratterizzata dall’odium fidei. La sua figura non è camaleontica, ma brilla di luce particolare in situazioni sempre diverse e in nuove interpretazioni. Il suo impegno nel territorio è stato diverso nel tempo con l’esercizio del ministero presbiterale a Godrano, a Brancaccio. In lui parola di Dio è sempre stata presente quasi come l’acqua in una zona acquitrinosa.

            La vicenda martiriale di don Pino Puglisi ci dice che la sua morte è stata subita e donata per la sua gente. Il martirio cristiano è un segno da decifrare per poter parlare oltre se stesso e per poter andare oltre ai fatti di cronaca. Gli eventi di criminalità sono eventi ordinari e peculiari per alcuni quartieri di Palermo. Da parte nostra c’è un errore, quello di adattarsi troppo al mondo. La nostra prospettiva credente deve parlarci con una speciale eloquenza, per noi il mistero non è muto. L’assassinio di Puglisi non è solo un assassinio. Per noi il linguaggio per leggere tale vicenda è quello della profezia. Il martirio non è semplice articolo di cronaca nera. Ad esempio il martirio “laico” di Pio La Torre e il martirio evangelico di Puglisi come si avvicinano? La risposta non è la cristianizzazione di tutti i martiri. Bisogna riconsiderare il martirio come realtà del presente, dell’oggi storico. Puglisi è un martire della giustizia come don Diana e Livatino, la loro fine cruenta è dovuta alle proprie convinzioni religiose. Bisogna, in tal modo, allargare il senso dell’identità dei martiri. La nuova martirologia passa per un’ideale nobile non solo dovuto alla formulazione teologica, ma soprattutto alla testimonianza cristiana. Il martire cristiano può esserci non solo per la fede ma anche per la giustizia, la carità ecc. Così come in modo conosciuto solo da Dio anche il martire laico ha a che fare con la fede. La peculiarità del martire raggiunto da Dio è la capacità di emergere nella comunità tramite una radicale testimonianza. La spiritualità dice il primato nella vita ed è per tutti, ma non avviene in tutti allo stesso modo. Ognuno per il particolare carisma ricevuto ascolta la chiamata di Dio in maniera singolare. Dio chiama tutti ma non tutti rispondono o lo fanno alla stessa maniera. Così la vicenda del martire è come quella di una matassa per la quale bisogna distinguere senza distanziare.  

            Il martirio va inteso a partire dal servo sofferente di Isaia, ma a tale passo veterotestamentario va integrato lo scacco della croce nell’ottica salvifica. E bisogna, altresì, includere la tensione messianica, profetica, sacerdotale e sapienzale nella lettura cristologica. Così c’è una conoscenza nuova da poter  applicare nella propria esistenza credente. È questa l’esperienza del Cristo che fanno le prime comunità. Il testo di Isaia ci dice che dal servo sfigurato viene la piena rivelazione di Dio. Dalla sua vicenda noi comprendiamo la nostra. Alla luce del testo di Isaia sul servo sofferente si trae una lezione profonda e un senso di continuità nella rivelazione di Dio culminata in Cristo Gesù. È opportuno leggere Isaia come profezia per la Chiesa di oggi e così poter reinterpretare la vicenda di Puglisi. Nel profeta si presenta Gerusalemme, la figlia di Sion in declino politico e religioso alla quale però giunge aiuto dal cielo. Dio così opera un rapido cambiamento per le sorti della città santa. La riedificazione avviene con un misterioso servo che è lievito di resurrezione del popolo. Egli è messaggero che reca buone notizie. Il progetto più ampio è quello di ricostruire Gerusalemme per mezzo dell’opera del servo sofferente che è quella della ricostruzione per la salvezza. Il Servo è preceduto e seguito da coloro che imitano il suo esempio. Però bisogna ammettere la sconfitta, il peccato che il profeta denuncia apertamente. I Profeti vanno contro il disordine e annunciano il disegno di Dio con una dimensione di vicinanza ai poveri e con la possibilità di un futuro più giusto. Quelli che detengono il comando e il potere politico – religioso non sono in grado di fare ciò. Annunciare speranza significa andare oltre il potere dell’impero il quale è contrastato dai profeti con parole dure e con l’annuncio della possibilità di salvezza. Come un profeta don Pino Puglisi si apriva ai mafiosi non per la ricerca di un compromesso ma come ultimo annuncio per la salvezza. L’indignazione non è realtà propria del servo sofferente che condivide e offre la speranza che viene solo da Dio. Il Regno, infatti, non è fuori del mondo, la speranza è il diritto d’esistenza per i più poveri e chiama ad agire per la costruzione della nuova Gerusalemme. In Puglisi come nei profeti è Dio ad operare per il nuovo mondo, per la ricostruzione di Gerusalemme.

            Anche l’etica della tenerezza può essere uno strumento di impegno pastorale nella terra di mafia, perché la tenerezza come metodo è radicalmente opposta alla logica criminale. Infatti, essa fa nuove tutte le cose perché Dio è tenerezza. Il Signore non è indifferente al male poiché la tenerezza è la forma amorosa dell’essere. Questa è la categoria biblica e antropologica in genere per cogliere pienamente il senso della rivelazione di Dio. Da ciò si può derivare una civiltà della tenerezza come alternativa a quella dei predatori. La società mafiosa è una civiltà predatoria. La vita cristiana è da vivere nello Spirito di tenerezza e la mafia è assolutamente distante da ciò. Per la “Primavera di Palermo” si impegnarono Pintacuda e Puglisi. Il primo esplicitamente affermava di lottare contro la mafia. Il secondo diceva di non essere un prete anti mafia, ma un prete al servizio anche per i mafiosi che si pentono. La Chiesa proposta da don Pino sceglie i mezzi poveri e scaturisce dall’icona di san Francesco d’Assisi che tende la mano al lupo. Così la tenerezza è una continua tensione per tendere la mano all’uomo – lupo che ci mostra anche il paradosso cristiano. La rieducazione del lupo passa per la rieducazione della città. Questo ci ripete la testimonianza di don Puglisi anche per la Chiesa Siciliana odierna che si deve interrogare seriamente sull’investimento educativo.

            Don Pino Puglisi nella sua vita si è incontrato sempre con macerie umane e materiali, i casi di  Godrano e di Brancaccio lo mostrano chiaramente. Formatosi nella stagione conciliare, egli capisce che la Chiesa deve parlare a tutti, non solo ai cattolici. A Brancaccio mancava lo Stato, non c’era nulla. Lui fonda il Centro Padre nostro a favore soprattutto dei minori. Voleva un centro culturale e sociale per il quartiere, desiderava un polmone umanizzante. Auspicava la realizzazione di una nuova parrocchia, perché il centro fondato era solo un primo passo verso un grande polo spirituale e formativo. Il progetto della nuova chiesa era pensato a servizio dell’intero quartiere, affinché la gente non potesse essere più sottomessa alla signoria della mafia. La sua particolare attenzione era per i giovani, ma anche per gli anziani del quartiere che erano abbandonati.

            Certamente la vicenda Puglisi ci interpella per ripensare il martirio cristiano. Per capire il suo caso pare importante rifarsi alla teologia delle realtà terrestri e alla teologia della liberazione le quali hanno influito su di lui. Don Puglisi fa la scelta di stare sul territorio. Non aspetta nessuno. Tocca con mano che la zona dove opera è segnata dalla mafia la quale si ritiene presenza unica ed egemone. Nonostante questo, continua a fare suo lavoro. Il vangelo che annuncia Puglisi è quello della libertà da realizzare con un cammino che ha come base le beatitudini per cambiare vita e per avere la capacità di resistere alla mafia. Con le sue iniziative mette al centro il Padre nostro mostrando inconciliabilità tra il Dio di Gesù Cristo e la mafia e ciò ha messo inquietudine al sistema mafiosa vigente. Lui non voleva mettersi contro nessuno ma desiderava annunciare la vita di grazia. Così non ha paura di parlare del vangelo di Gesù che annuncia non come Dio onnipotente, ma come Dio servo. Il Signore annunciato da Puglisi è colui che dona la vita. In tal modo don Pino stava togliendo terreno ai mafiosi che hanno una storia religiosa per nulla attinente al Cristo. Egli ha continuato sulla sua strada non alla luce di un fatto dottrinale, ma per la testimonianza alla sequela del Cristo che consiste alla fine nel dare la vita. Il mafioso non ha nulla da spartire con questo modo di intendere la vita, così la vicenda di Puglisi si presenta come diametralmente opposta a quella dei mafiosi. A noi non interessa la cronaca nera, ma il martirio che egli ha vissuto come dimensione cristiana e presbiterale. Ciò che è avvenuto è un compito aperto per la nostra comunità cristiana di oggi la quale deve perennemente chiarire che il mafioso non può far parte della Chiesa. Pertanto, bisogna far fruttificare programmaticamente il martirio di don Puglisi nella Chiesa di oggi, ma la testimonianza di vita ecclesiale deve essere alternativa allo stile mafioso.

            In questo modo viene delineata la testimonianza martiriale di don Pino Puglisi la quale si dice a noi oggi come un quinto evangelo, ovvero come una modalità tutta particolare eppure completamente fedele all’evangelo del Cristo.

                                                                                                                                                                                                        Rocco Gumina

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